
A Bruno Bonomo (cioè a Silvio Orlando,
protagonista de “Il Caimano” di Nanni
Moretti, in cui interpreta lo scalcinato
produttore di un film denuncia contro Silvio
Berlusconi) dell’emergenza democratica
non importa nulla. Se c’è, non se ne è
mai accorto, perché è impegnato a vivere,
a lavorare, a crescere i figli, ad amare Paola
(Margherita Buy): lui vuole guardare i
bambini che giocano a calcio la domenica,
strizzare loro l’occhio se restano in panchina,
protestare con l’allenatore, raccontare
le storie la sera per farli addormentare,
poter pagare gli attori, fare finalmente,
dopo dieci anni di nulla, un altro film, farlo
magari bello, farci recitare la moglie che
di cinema non ne vuole più sapere, è stanca
di lui e teneramente lo fa dormire, da
sei mesi, con le coperte di ciniglia in una
brandina in ufficio. Dove lui mangia da solo
pizze nel cartone, schiva le telefonate
della banca, cerca di ricominciare. Non è
un indignato e non lo diventa nemmeno
quando sfoglia la sceneggiatura che una
ragazza gli ha messo in mano durante una
rassegna dei suoi vecchi (catastrofici) film:
decide per caso che quello sarà il nuovo
inizio, ma non capisce nemmeno che è un
film su Berlusconi. C’è una misteriosa valigia
piena di soldi che cade dal soffitto, gli
sembra una cosa contemporanea, d’azione,
di novità. Tutto qui.
“Uno di quei film politici di sinistra, li
odiavo trent’anni fa, figuriamoci adesso”, ecco
Bruno Bonomo. Che faceva film trash, “di
resistenza ai film d’autore”, mentre tutti si
sbattevano con l’impegno (“Mocassini assassini”,
“Maciste contro Freud”, “Cataratte”).
Che non ha voglia di annuire quando il grasso
produttore polacco dice che gli italiani
toccano il fondo e cominciano a scavare, non
si infervora quando la giovane sceneggiatrice
(Jasmine Trinca) gli parla a macchinetta
e senza mai ridere di mafia, di processi, di
film anti Bush in America, di finanziamenti
oscuri, di urgenza assoluta di un film su Berlusconi.
Vorrebbe solo tornare a dormire a
casa, vorrebbe che lei lo guardasse ancora,
che gli amici li invitassero fuori entrambi,
vorrebbe non dover mai dire ai bambini:
mamma e papà si sono separati, niente più
vacanze insieme.
Non era credibile che Nanni Moretti si
fosse trasformato in un Michael Moore magro,
nonostante i girotondi, nonostante l’impegno,
nonostante l’uscita pre elettorale,
nonostante le chiacchiere: a lui interessano
la vita, le nevrosi, la gelosia, il cancro, i
bambini petulanti, le canzoni, i fallimenti,
lo snobismo e i gelati. E infatti, come in “Caro
diario”, quando andava in visibilio al
pensiero del musical che avrebbe presto
realizzato (“Cos’è questo film…? E’ la storia
di un pasticciere trotzkista nell’Italia degli
anni Cinquanta. E’ un film musicale”), immaginando
le ballerine e i lustrini, ne “Il
Caimano” Moretti sta in una macchina, guida
e canta, dice che sta scrivendo una commedia
divertentissima, e sorride – anche se
poi al berlusconismo cede del tutto, sinceramente,
magistralmente, interpretando, lui
meglio di tutti gli altri, Silvio Berlusconi
processato, condannato, applaudito, grandioso
e super vincente.
E’, come sempre, prima e durante Berlusconi,
il ritratto minimale di una famiglia in
un interno, la storia di un’Italietta dolce dove
i bambini vivono in centro, giocano col
Lego e i genitori si affannano a cercarne i
pezzetti sul tappeto, perché i piccoli non abbiano
gli incubi la notte, non si impensieri-
scano per i compiti, facciano bella figura al
calciotto (calcio che si gioca in otto), non
debbano mai piangere. Il resto è documentario,
pezzetti di tiggì, ricostruzione di un’ascesa,
nessun orrore, e un noiosissimo pranzo
della domenica borghese in campagna a
parlar di filari e vendemmie. Silvio Orlando
vorrebbe essere alla partita dei figli e invece
deve sopportare il quadretto, per lui
sconvolgente, di tranquilla famiglia lesbica
della sceneggiatrice impegnata e ortodossa,
che ha fatto una figlia con la fidanzata in
Olanda, comincia a raccontarglielo divertita
e lui urla “Noo, non lo voglio sapere, non
dirmelo! Tanto non lo capirei”, come urlava
d’orrore Moretti in “Palombella Rossa”
(“Ma come parli? Chi parla male pensa male,
le parole sono importanti”) quando la
giornalista lo intervistava dicendo “trend
negativo”.
La vita va, con o senza Cavaliere, l’amore
finisce o cambia casa, le ragazze lesbiche
fanno quel che vogliono, gli attori danno
buca, i bambini pretendono la favola
della buonanotte: Bruno racconta loro, la
sera, la storia di Aidra, l’eroina super trash
interpretata dalla mamma quando facevano
i film di resistenza ai film d’autore,
lei era l’attrice protagonista di “Cataratte”,
rideva, si vestiva di rosso con minigonne
pazzesche, uccideva i maoisti, tirava aragoste
e acqua bollente addosso a orrendi
critici gastronomici col toupet, faceva
schizzare dappertutto sangue al pomodoro.
I bambini si esaltano, ridono, saltano, e
quando il padre amoroso prova a cambiare
storia, raccontando il Caimano, i soldi
nascosti a S. Marino e i finanziamenti illeciti,
i piccoli viziati sbottano: “Basta, ti prego,
vogliamo le Cataratte”.
Annalena Benini - Il Foglio