
Fu suicidio o fuga ? Non c’è via di mezzo
per spiegare la scomparsa di Ettore
Majorana, il fisico catanese in odor di Nobel
già a trentuno anni, considerato pubblicamente
da Enrico Fermi “un genio”, di cui
non si ebbero più notizie a partire da lunedì
28 marzo 1938. La sera prima, Majorana si
era imbarcato sul “postale” quotidiano Palermo-
Napoli. Dormì, Majorana, o si coricò,
in una cabina a tre posti. Ma quel lunedì
mattina nessuno lo vide più. Seguirono le
denunce dei parenti, perfino un riquadro
sul “Chi l’ha visto ?” della Domenica del
Corriere, indagini mollicce su interessamento
diretto del ministro dell’Educazione,
il senatore Giovanni Gentile, grande ammiratore
del talentuoso siciliano. Il caso Majorana,
da quel tumultuoso 1938, non è ancora
stato risolto. Oggi la sua città, Catania, dove
nacque il 5 agosto 1906, gli dedica numerose
e non rituali iniziative, prima fra tutte due
giornate sabato 25 e domenica 26 prossimi [l’articolo è di svariate settimane fa....NOTA DI EDOLARDO].
Perché il caso non è chiuso? “La scomparsa
di un genio crea il Mito”, spiega Bruno Russo,
autore della biografia “Ettore Majorana,
un giorno di marzo” edita da Flaccovio, nonché
di una pièce teatrale, “Il silenzio del mare”,
che verrà rappresentata con la regia di
Giuseppe Di Pasquale. Russo propende per
la tesi del suicidio. Ripercorre le ultime
giornate di Ettore e sottolinea l’importanza
delle missive lasciate dal giovane fisico, indirizzate
al direttore dell’istituto di Fisica
dell’ateneo napoletano, Antonio Carrelli, in
cui annuncia una “decisione inevitabile”,
nonché “l’intenzione di rinunciare all’insegnamento”.
Alla famiglia scrive: “Ho un solo
desiderio: che non vi vestiate di nero. Se
volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma
per non più di tre giorni, qualche segno di
lutto”. Parole pesanti, certo, ma che non necessariamente
equivalgono a intenzioni suicide.
Semmai a un addio e a un distacco. Del
resto, Ettore Majorana viveva in condizioni
economiche più che agiate. Non solo, ma in
gennaio aveva fatto ritirare dal fratello Luciano
la sua parte di conto in banca, e il 25
marzo aveva incassato cinque mesi di stipendio
arretrato. Tutti soldi che portò con
sé, assieme al passaporto mai ritrovato.
Fu Leonardo Sciascia, in un celebre “giallo-
verità” del 1975, a riaccendere la miccia
della fuga premeditata. Ma da cosa sarebbe
scappato, oppure perché si sarebbe inabissato
coi suoi segreti? Enrico Giannetto, docente
di Storia del Pensiero scientifico all’Università
di Bergamo e di Fisica moderna
a Pavia, svela il segreto: “Majorana già in
un articolo del 1932 superò gli ostacoli dei fisici
teorici nella unificazione coerente della
teoria della relatività speciale e della
meccanica quantistica”. Fu così che un ventiseienne
siciliano ottenne la grande unificazione
delle teorie del Novecento. Ecco
perché Fermi lo marchiò come genio e lo
volle accogliere nella squadra di via Panisperna.
Ma fu proprio nell’istituto romano
che si svilupparono i dubbi e le angosce del
giovane Ettore. A cosa infatti lavorava Fermi?
Alla fissione del nucleo di uranio. Ovverosia
ai rudimenti di quella che sarebbe
diventata la bomba atomica. E’ certo che
Majorana si distaccò da via Panisperna per
quattro anni. Però lasciando tracce significative.
Majorana sicuramente capì in largo
anticipo e volle scomparire dalla circolazione.
In quello stesso 1938 Enrico Fermi fu insignito
del premio Nobel per la Fisica grazie
alle sue scoperte sulla radioattività artificiale.
Partì per Stoccolma con la moglie,
colpita dalle leggi razziali, e nel gennaio
1939 salpò per New York. Accolto da Roosevelt,
proseguì gli esperimenti che subirono
una accelerazione con l’entrata in guerra
degli Stati Uniti, finché le sue intuizioni vennero
trasformate nella bomba atomica.
Giuseppe Mazzone
“Majorana a cento anni dalla nascita, nei
giorni della scomparsa”. Centro
“Le Ciminiere” di Catania, 25 e 26 marzo