Sigur Ros + Amina, 24 Novembre 2005, Firenze

Il piano: darmi malato per due giorni al lavoro e partire. Destinazione: Firenze, concerto dei Sigur Ros. Poi si proseguirà per il Meeting delle Etichette Indipendenti, a Faenza.Ufficialmente sono sotto le coperte con 38 di febbre, di fatto sono al teatro Saschall, in attesa dei quattro islandesi. Mi sorprende, come sempre, la legge del napoletano: ovunque vado per concerti, mi trovo sempre (felicemente) circondato da conterranei partenopei. Uno dei quali spera in una irrealizzabile utopia: far sedere tutti in modo che tutti possano vedere meglio il palco. In pochi lo seguono, e anche quei pochi lo abbandonano presto. Nel frattempo riverberano i suoni cristallini delle Amina, suoni che le nostre riescono a cavar fuori da bicchieri di cristallo ricolmi d’acqua, xilofoni, laptop, seghe suonate con l’archetto o dai più convenzionali, ma non meno incantevoli, viola, violino e violoncello.
Poi un interminabile drone ci fa esasperare nell’attesa dei Sigur Ros. Cala un telo semitrasparente, a separarci dal palco. Giochi di luce ci fanno intravedere le ombre dei quattro che imbracciano gli strumenti. Parte il primo pezzo, poi il telo si solleva, il pubblico esplode da fermo, senza bisogno di darlo a vedere. Su uno schermo alle spalle del gruppo e sui loro corpi, scorrono immagini oniriche, che sembrano adattarsi perfettamente ai suoni e ai riverberi che si diffondono nel teatro, tra nebbie artificiali e fasci di luce colorati. Stupisce la facilità con cui Jónsi riesce a modulare la sua voce da fata o con cui Kjarri (il più giovane elemento della giovane band) passa dalle tastiere, alla chitarra, al flauto traverso. Le Amina tornano sul palco ad arricchire il suono dei Sigur Ros con i loro strumenti ad arco.
Sarà stata l’atmosfera, sarà stata la particolare e riuscitissima commistione di suoni, luci, immagini, voci, sarà stata la strana sensazione di trovarsi circondato da un pubblico estasiato e per una volta non pogante, ma per la prima volta nella mia (non breve) carriera di spettatore, sono stato letteralmente percosso da brividi per tutta la durata del concerto (quasi due ore, escludendo il godibilissimo set delle Amina).
Il telo cala nuovamente, e quando gli artefici di tanta bellezza tornano sul palco per incassare minuti di applausi (un immenso Takk giganteggia alle loro spalle), penso di aver avuto la fortuna, per un paio d’ore, di aver captato la musica proveniente da un altro pianeta, forse da un altro sistema solare, un mondo che, se non migliore del nostro, è riuscito nel miracolo di fondere, sublimandoli, dolore e felicità in un’unica estasi.
Ma tanta bellezza si paga. Il giorno dopo, a Faenza, dopo quasi tre anni di onorato servizio, la mia carta di credito-bancomat si smagnetizza, in breve rimango senza soldi: niente concerti, accese discussioni con gli albergatori, rocambolesco ritorno a casa con multa su treno…




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