GIORNO UNO.
Una vigorosa erezione mattutina mi accompagna verso il nuovo giorno. Doccia, colazione con yogurt, frutta e caffé e via, ad affrontare il congresso degli scinziati cazzoni e degli ingegneri iperefficienti che giocano a piegare la luce ai loro bisogni spiccioli. Oddio. Comincio ad esprimermi come un prete…
Strasburro è innervata da un capillare servizio di frequenti e silenziosissimi tram. Così silenziosi che, vedete come ve lo dico, uno di questi giorni ci rimango sotto. Per un attimo immagino Caserta servita dalla stessa rete tranviaria…no, è troppo anche per un blog che si richiama ai sogni fin dal titolo…
I tram saranno pure efficienti, ma le macchinette per i biglietti molto meno. Le monete mi vengono risputate indietro e la carta di credito non risulta gradita. Comincia una lunga serie di viaggi a scrocco a spese del contribuente francese in generale, e strasburrese in particolare.
Pensavo fosse un cliché, invece per davvero i francesi la mattina hanno la baguette sottobraccio, piuttosto che il giornale.
Speravo che il “Palais de la Musique et des Congrès” si distinguesse per eleganza delle forme e bellezza della struttura. Manco per il cazzo. Pura, grigio-bianca efficienza da UE. Le bandiere dei paesi dell’unione spiegate di fronte all’ingresso cigolano. O meglio, cigolano i tiranti dei pali che le tengono innalzate al vento. Fa comunque uno strano, metaforico effetto.
Gli organizzatori di SPIE Photonics Europe (clicca sul titolo del post) sono dei pezzenti. Ho pagato più di 200 dollari di iscrizione, e questo perché mi sono spacciato per studente, e tutto quello che mi sanno dare è qualche brochure e una piccola penna. E niente su cui scrivere. Dovrò sacrificare la mia Moleskine, quella grande, quella che riservo per i miei deliri pseudo-artistici, non so se mi spiego.
Il mio talk si terrà nel pomeriggio. Inganno l’attesa e l’ansia subissando di innumerevoli sms la mia collega Ilaria, che con materna comprensione non mi manda a cagare ma risponde a quasi tutti i miei 127 messaggini. Leggo qualche giornale locale, o meglio guardo le figure e cerco di interpretare i titoli in francese. E’ straniante seguire il crollo di Alitalia dall’altra parte delle Alpi. Sembra di avere il coltello dalla parte del manico (ovvero dalla parte di Air France).
Arriva il mio momento e la sala Gutenberg si svuota per metà…Non brillo particolarmente durante l’esposizione, so fare di meglio. Pago stanchezza e nervosismo. Comunque l’argomento meritava un po’ più di interesse da parte del pubblico, micro-alghe monocellulari che si comportano da micro-lenti, invece alla fine del mio intervento nessuna domanda. Il chairman mosso a pietà me ne fa una, dalla quale deduco che non ha capito un cazzo di quanto ho detto. Mentre mi allontano vengo fermato da un tizio che lavora per la Swatch svizzera (sic!) ma che si è laureato in fisica a Napoli. Vorrebbe commercializzare la cosa, ma non può dirmi più di tanto…segreti commerciali in ballo…gli do i contatti del mio capo e fuggo verso la poster session. Ho promesso alla materna collega di cui sopra di prendere appunti sul poster di un giappocinese, il quale mi espone con precisione l’oggetto della sua ricerca. Io annuisco e sorrido, e poi faccio la solita domanda che tradisce il mio non averci capito una mazza, un po’ come il chairman, ‘nzomma.
Scazzato svuotato e immalinconito me ne torno in albergo. Durante il viaggio di ritorno scorgo, appesi a un edificio pubblico, dei ragazzi sventolare bandiere tibetane. Hanno facce dannatamente giovani, pulite e occidentali. Chissà se hanno mai assaggiato una manganellata sul cranio. Facile fare i rivoluzionari a Strasburro.
Torno in albergo, mangio un’insalatina e una macedonia, devo rimediare alla porcata alimentare di ieri, metto su ‘Fritz il Gatto’ sul PC e m’addormento…”Domani esco, giuro…domani esco…domani…” mugugno fra me e me mentre precipito nel ventre del sonno.
Colonna sonora del giorno: “Antropophagus” dei Baustelle (della serie i barboni ci sono anche a Strasburro):
Alla Stazione c’è un bel sole come in altri posti. Amore mio dolcissimo. C’è un verme nel caffè. Per punizione c’è l’hamburger. Ci spingiamo. Abbiamo barbe. Abbiamo fede. Abbiamo sputi. Abbiamo buchi sul gilet. Siamo accampati sull’aiuola. La colomba morta vola. C’è una rissa. Bottigliate in faccia. Vuoti a perdere. Guardiamo i treni e gli areroplani. Russi e lituani. Ci scambiamo la Peroni e un po’di tonno in scatola. Abbiamo il sushi. Abbiamo il vino. Spezziamo il pane e la schiena al cane. There is no sushi. No Corso Como. Ci piace l’Uomo. Non c’è sindacato. Non c’è stato mai nessuno che mi ha amato tanto come questa notte. Muoio. Ho fame, amore mio. Dice il governo che è passato ormai l’inferno. E ti ho sposato. Qui. Fra i topi neri e i fiori. Il cranio ti ho baciato. Alla Stazione c’è un bel niente come in altri mondi che sono possibili. Per me, per te, per chi altro arriverà. Perciò pranziamo e poi pisciamo contro i muri di Milano. Controvento ci sposiamo. Oggi si vola. Oggi si va. Mangiamo a pezzi i nostri figli. E qualche avanzo lo incartiamo dentro un foglio di giornale. Prima o poi ci servirà. Amiamo l’Uomo e il suo sapore. I signori e le signore. Il loro eterno roteare. Come agnello nel kebab Abbiamo il sushi. Abbiamo il vino. Spezziamo il pane. La schiena al cane. There is no sushi. No Corso Como. Ci piace l’Uomo. Non c’è sindacato. Non c’è stato mai nessuno che mi ha amato tanto come questa notte. Muoio. Ho fame, amore mio. Dice il governo che è passato ormai l’inferno. E ti ho sposato. Qui. Fra i topi neri e i fiori. Il cranio ti ho mangiato.